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13/7/2006 Cari azzurri non prendetevela... Se vi danno dei tamarri
Lettera di Francesco Specchia Cari azzurri campioni del mondo, non prendetevela. Non offendetevi se qualche collega vi ha dato dei tamarri. Bè, dopo avervi osservati come Conrad Lorenz faceva con le oche, dopo avervi gustati in mutande in tv, come pisquani col cilindrone o a torso nudo, al Circo Massimo davanti a un muro di carne d’un milione di persone, qualche dubbio poteva venire. Eppure il dilemma lacera. Se l’Italia dovesse ancora vincere i Mondiali, meglio tamarri o radical chic? E la colonna sonora del tripudio dovrebbe essere “Bonjour finesse” o “Daje de tacco daje de punta ma quant’è bona ’a sora Assunta”? E noi, tifosi, potremmo ancora vibrare d’una sguaiata isteria; impazzire per Materazzi in cannottiera e sgolarci con Del Piero versione Freddie Mercury, pettorale lucido, volto al muro di carne del Circo Massimo? Oppure dovremmo usare il low profile, la sobrietà dandy e la compostezza degli editorialisti della Stampa, del Foglio, del Manifesto, del Corriere della sera? Eppure il quesito turba. Perchè ad insufflarci il germe del dubbio ieri ci ha pensato Maria Laura Rodotà, che proprio sul Corriere ha fatto del carnevale postmondiale una questione di stile: "tra i giocatori c’era chi faceva il matto, chi il gladiatore, chi lo stripper... Totti con la coppa in testa... Dino Zoff che non sarebbe mai sceso dall’aereo con gli occhialoni neri come Buffon (ma Zoff, nell’82, di anni ne aveva 40, non 28 come Buffon, ed era un pietroso friulano, non un cazzerellone di Parma...ndr)" scrive Maria Laura, così capricciosamente chic dietro il ciuffo vaporoso, da Veronica Lake. E discettando di tatuaggi, scambiando forse Gattuso con Guttuso e l’Olympia Stadion con le spiagge di Capalbio, ella s’impuntava sui cori beceri, sull’assenza di fair play, sulla risacca della cafoneria. E si chiedeva: "ma ora ci toccherà diventare tutti tamarri?..." . Mah. E aggiungeva dramma al dramma il cavouriano Massimo Gramellini sulla Stampa: "Liberi tutti in una sorta di amnistia mentale... un entusiasmo troppo gridato da risultare ingannevole". E concordavano, incondizionatamente, Maurizio Crippa sul Foglio ("il banalese dell’aver unito la nazione") e Angela Azzaro sul Manifesto ("c’è stata Nassiriya e gli eroi del così muore un italiano, il senso comune spostato verso la retorica del Tricolore"): il tutto condito da citazioni che variano dal culto fallico di Shiva a Marco Tardelli al Sacro Graal, roba che -da rozzi piccoloborghesi- non abbiamo ben afferrato, ma, insomma, il senso era: “Dagli al tamarro azzurro”. E, in quel momento, come per magia, c’è affiorato Franco Califano. E Lino Banfi-Oronzo Canà allenatore nel pallone che applicava la bi-zona. E tutti i tifosi di corso Buenos Aires e Tor Bella Monaca. Tamarrissimi. E noi -come quaranta milioni di italiani scesi in piazza lividi e sudaticci, afoni dalla gioia, saltatori con bandiera pronti ad abbracciare chiunque transitasse nel raggio di cinque metri- ci siamo un po’ vergognati. Certo, sarebbe stato facile obbiettare che nell’82 Pertini zompettava tarantolato al Bernabeu; e che, in fondo, è meglio Er Monnezza allo stadio che Lord Byron al tavolo da burraco. Certo, sarebbe stato semplice ricorrere alla citazione. E ricordare ai colleghi i riti panici orientali, la tradizione dionisiaca, il concetto fescennino di “rovescio della vittoria” (le feste latine in cui i padroni si comportavano da servi, i cafoni comandavano e gli aristocratici s’adeguavano, silenti, al contesto); e Bertoldo e Pasolini; e la borghese signorina Giulia di Strindberg che andava pazza per i trucidi. Sarebbe stato semplice opporre rassicurazioni intellettuali all’allarme altoborghese sull’involgarimento progressivo.Eppure, in fondo, siamo convinti che oggi l’esser tamarri, il rivendicare approccio ruvido e emozione violenta, sia una rara forma democrazia. Il volto del tamarro è la maschera delle vendetta. Il grido del tamarro è davvero il diapason del riscatto popolare; è quasi un rutto metafisico. É la voce di Fabio Grosso (ex burino del Chieti) che trafigge i tedeschi, mentre i tifosi, sugli spalti, aprono le mani ad elisse. Un gesto che richiama la liturgia druidica del ciclo lunare e che solo i più superficiali posso aver interpretato come “vi abbiamo fatto un mazzo così..”. Il tamarro è necessario sin da quando Bartali al Tour de France evitava la guerra civile dopo l’attentato a Togliatti. Cari azzurri, non intristitevi. Dice la Rodotà: gl’italiani sembravano bambini che sognavano d’aver vinto un Mondiale (in realtà il Mondiale l’hanno vinto, sul serio). Il suo è lo stesso distacco, che usava Giulia Maria Crespi ai tempi rivoluzionari di Mario Capanna; lo stesso di Felicia Bernstein, moglie di Leo, quando, negli anni 60, invitava nel suo attico di Manhattan i leader neri, incazzatissimi, del Black Panther. Solo che, allora, i radical chic erano personaggi letterari e, soprattutto, non temevano Ringhio Gattuso.
Francesco Specchia
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