| Roberto Bolle
Intervista di Patrizia Vallone
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Roberto Bolle, 30 anni lo scorso marzo, è il personaggio del momento. Nel giro di pochi anni si è esibito con le più importanti compagnie e nei più grandi teatri del mondo. Ha danzato per la regina Elisabetta e per Papa Wojtyla. Ogni sua esibizione viene salutata da ovazioni da parte di un pubblico entusiasta. Lo incontriamo nel suo camerino alla fine di una affollatissima Giselle al Teatro Costanzi, sala esaurita da tempo e numerose richieste inevase. Grazie alla cortese e squisita Barbara Gronchi, riusciamo a superare un primo assalto di fans in cerca di un autografo e di un sorriso da parte del bel Roberto e, alla fine, eccoci davanti a lui. Da vicino, Roberto Bolle è sicuramente un uomo attraente: altissimo, fisico scultoreo, grandi occhi verdi-blu che fanno sognare le ragazzine, e non solo. Ma la bellezza nella danza non basta. Bolle ci ha emozionato per la profondità della sua interpretazione del personaggio di Albrecht, per l'eleganza del gesto, la purezza della tecnica, la pulizia nei salti e nei giri. Visibilmente stanco, ci accoglie con estrema gentilezza e cortesia e si intrattiene con noi per oltre un'ora, nonostante i suoi cari lo stiano aspettando da un pezzo. Solo il tecnico delle luci del Teatro dà segni d'impazienza data l'ora, ma la conversazione continua normalmente. Lei non viene da una famiglia di artisti. Come si è avvicinato alla danza? All'inizio degli anni '80, quando avevo 6 - 7 anni, la televisione dedicava molto spazio alla danza di qualità. C'erano programmi di balletto e, per il moderno, c'era Heather Parisi, molto brava anche lei. Decisi che volevo provare anch'io. Mi iscrissero ad una scuola di danza a Vercelli - io sono piemontese di Casale Monferrato. Promettevo bene e mia madre mi fece provare un'audizione alla scuola di danza del Teatro alla Scala. Mi presero e così a 11 anni mi sono trasferito a Milano. All'inizio è stata molto dura. Non c'erano collegi per ragazzi e vivevo da una signora anziana. Avevo una grande nostalgia di casa ed ero sempre triste. Un poco alla volta, però mi sono abituato. A scuola andavo bene e la danza cominciava a darmi le prime soddisfazioni. Ho iniziato a capire quale grande opportunità mi fosse stata offerta. Vivevo nel più grande teatro del mondo, a contatto diretto con artisti eccezionali, avevo la possibilità di imparare e di vedere tante cose. Tanti vorrebbero entrare alla Scala, ma ben pochi ci riescono. Ho capito di essere stato veramente fortunato. Giovanissimo, lei è stato scelto da Nureyev per interpretare il ruolo di Tadzio in Morte a Venezia di Flemming Flindt. Ci racconta come è andata? Avevo 15 anni. Nureyev venne a Milano a rimontare lo Schiaccianoci. Io ero impegnato nelle recite assieme ad altri allievi della scuola di ballo. Un giorno, alla fine di una prova, mi ero trattenuto in sala. Nureyev mi chiamò e mi chiese che cosa sapessi fare, poi mi diede qualche passo da eseguire e mi fece delle correzioni. Inutile dire che per me è stata un'emozione indimenticabile. Dopo qualche giorno, mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che Nureyev mi voleva con sé per questo balletto. Dicono che avesse un carattere difficile, ma con me è stato sempre gentilissimo e mi è rimasto di lui un bellissimo ricordo. E' in omaggio a Nureyev, che nel 1980 danzò Giselle con Carla Fracci con enorme sucesso in questo teatro, che lei ha eseguito la serie di entrechat six al secondo atto? No, io eseguo sempre gli entrechat six in quel punto, a meno che la coreografia, come nel caso della produzione di Peter Wright al Royal Ballet, non preveda un'altra variazione. Ritengo che in quel preciso momento del balletto Albrecht debba essere in scena e danzare disperatamente. A Nureyev mi sono ispirato per altre cose, come ad esempio, nel maneggiare il mantello. Come danzatore scaligero, lei ha una preparazione di base essenzialmente accademica. Ha avuto difficoltà ad eseguire quei passi spigolosi dei balletti di Forsythe, che le danza ormai regolarmente? Ho danzato per la prima volta In the meaddle... verso la fine degli anni '90. All'inizio è stata durissima, ho incontrato grandi difficoltà, ma poi mi ha dato grandi soddisfazioni e devo dire che quel tipo di passi mi hanno aiutato molto a danzare meglio anche il classico. Lei è molto alto, circa m 1,90. Ha mai avuto problemi di natura tecnica a causa della sua altezza? No, ho sempre girato e saltato con estrema facilità. Certo, un ragazzo più basso ha sicuramente una batterie più veloce, ma io ho altre doti, come un buon legato e la morbidezza nel porgere. Inoltre, proprio grazie alla mia altezza, ho il vantaggio, niente affatto trascurabile, di poter danzare con ballerine alte. Silvie Guillem, Darcey Bussell, Svetlana Zakharova, tanto per citare alcune delle artiste con le quali mi esibisco regolarmente, sono donne molto alte, poi quando vanno sulle punte... Lei si è esibito in tutto il mondo. Secondo la sua esperienza, che differenza trova tra il pubblico nei vari paesi e come si lavora nelle grandi compagnie? I giapponesi sono i più entusiasti. Mandano esaurito uno spettacolo nel giro di poche ore. Invece, a Londra e a Parigi sono i più competenti. All'estero, nelle grandi compagnie, c'è una tradizione che in Italia non abbiamo. Vi sono i grandi maestri, che sono stati grandi ballerini a loro volta, che danno la classe e che seguono le prove. A Parigi persone Florence Clerc e Ghislaine Thesmar danno regolarmente la classe, per non parlare dei maestri che si incontrano nei teatri russi. Per me è un vantaggio, cerco di prendere il meglio da ciascuno di loro. Io ho avuto la fortuna di incontrare Elisabetta Terabust quando dirigeva il Teatro alla Scala, dalla quale ho imparato molto, ma purtroppo è un caso isolato. Da noi, inoltre, i ballerini vanno in pensione a 52 anni gli uomini, a 47 le donne, questo danneggia la qualità degli spettacoli. All'estero non c'è mai nessuno del corpo di ballo che ha 40 anni, sono tutti molto più giovani. C'è un ruolo preferito? Io di solito interpreto parti da principe, quindi ruoli non molto caratterizzati. Forse, il mio personaggio preferito è proprio Albrecht, perché è l'unico che si evolve durante il balletto. All'inizio è un po' superficiale, ma poi, attraverso la perdita della persona amata, la consapevolezza del male arrecato e il dolore, cresce e matura. E un personaggio che vorrebbe interpretare? I principi sono sempre "buoni" e una volta tanto vorrei fare il "cattivo". Vorrei essere Onegin, un eroe negativo dall'inizio alla fine. Spero di avere presto questa opportunità. Da quel che vediamo, lei è devoto di Padre Pio? Come vede, ho sempre con me un'immagine del Santo, che mi è stata donata da alcuni ammiratori. La porto con me, mi infonde coraggio e serenità. Lei è ambasciatore Unicef. Ho avuto questo onore nel 1999, a soli 24 anni. La mia vita è completamente dedicata alla danza, quindi è molto importante per me fare qualcosa di concreto per i meno fortunati. L'intervista è finita ma, mentre usciamo, ci accorgiamo, piacevolmente sorpresi, che i fans sono sempre tutti lì: ci guardano con invidia, ma aspettano fiduciosi l'arrivo del Divo, per gli autografi da conservare gelosamente. Bolle è sempre più ambasciatore della danza.
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