| LAPO E’ PRONTO A RIPRENDERSI LA SUA VITA, LA SUA SQUADRA DI 20 COLLABORATORI, LA SUA FIAT. GLI PIACE L'IDEA DI RESTARE IN ITALIA. TANTO CHE A NEW YORK SI È FATTO DISEGNARE IL SUO NONO TATUAGGIO: UN VESSILLO ITALIANO SU UN BRACCIO...
Adolfo Pappalardo per “A” (Anna)
Ora sta in America, ha appena frequentato un corso alla Columbia University. Progetti per l'estate? Imparare dai creativi americani, tenendo d'occhio l'Italia. Con cuore «Tornerò con voi e faremo grandi cose. Come abbiamo sempre fatto e come state facendo ogni giorno. Ricordatevi: un uomo senza squadra è un uomo morto». Il Lapo-pensiero è una pagina di quadernone su cui, ancora in ospedale, l'autunno scorso, scrive poche righe alla sua squadra. Venti persone che, con lui, sono in grande simbiosi. Perché altro che riattaccare la spina. Lapo Elkann non l'ha mai staccata.
A New York lavora. Incontra gente. Ma soprattutto cerca l'ennesima idea. Non è un segreto per nessuno che il nipote dell'avvocato abbia da sempre fortemente voluto il ritorno dell'auto che fece sognare gli italiani del boom economico. 500 giorni alla 500: è confermato, nell'autunno del 2007 si materializzerà la nuova versione della city car. La storica vettura e Lapo: due tasselli di uno stesso puzzle?
Lapo non varca tutte le mattine la soglia del suo ufficio a Mirafiori ma è come se lo facesse. La sua squadra, venti collaboratori in tutto scelti personalmente da lui basandosi sull'istinto, lavora normalmente. Come testimonia tuttora la sua stanza: un laboratorio che non somiglia per niente a quella di un manager giacca e cravatta ma a quella di un estroso creativo. Un vecchio telefono (rosso) nascosto da pile di modellini d'auto. Come poltrona, il sedile di un'auto da rally. Un casco autografato da Valentino Rossi e una tavola da surf con i colori della Ferrari.
E le magliette. Quelle della Juventus, del Palermo, della Fiorentina e della Nazionale accanto a quelle della Fiat. Una bandiera americana e un ritratto di Mao. A ricoprire le pareti che sono rigorosamente azzurre. Come le maglie della nazionale italiana. Nello stesso corridoio, le stanze del piccolo gruppo che in questi ultimi tre anni, guidato da Lapo, ha contribuito, sotto la guida di Sergio Marchionne e Luca di Montezemolo, a rilanciare l'immagine della casa torinese.
Lui via invece, da New York telefona continuamente per raccontare l'ultima ispirazione che gli è venuta. O altrimenti è qualcuno della squadra a volare a New York. L'ha fatto un compagno di lavoro della Fiat, a cui Lapo è particolarmente legato, che ha messo da parte i soldi necessari pur di vederlo e, usando le ferie, è volato oltreoceano. Lo hanno fatto più di una volta vari giovani della squadra, su cui il giovane Elkann ha investito fiducia e amicizia dopo averli scelti talvolta senza leggere nemmeno il curriculum. O altrimenti è Lapo a prenotare un volo di linea e arrivare a Torino.
L'ha fatto per votare alle elezioni politiche, ma anche in altre occasioni. Per discutere di lavoro o solo per rivedere un amico. Altro che esilio. Lapo in Italia ci è venuto spesso e si può dire che, tranne una breve parentesi, non se ne è mai andato. E prima che a Portofino o a Torino per una riunione di famiglia è stato a Roma e Napoli. Altro che confino in attesa del ritorno: Lapo vuole una vita normale lontano da fotografi e cronisti. Per questo vive a New York. Dove si sente a casa perché ci è nato e dove si può camminare, andar per mostre, bere un caffè al bar senza che nessuno ti possa riconoscere. O peggio, guardarti con gli occhi di chi ti vuole giudicare. Ma se pure questo accade, Lapo non si sottrae e due chiacchiere le scambia volentieri con chiunque. Perché, come un'antenna, capta, capta per ricaricarsi e far girare a mille il suo motore creativo.
E nella Grande Mela, altro che vita da recluso. Una volta alla settimana s'incontra con Henry Kissinger ma vede anche Quincy Jones per organizzare una raccolta di beneficenza per i Paesi del Terzo Mondo. Un master in management che ha appena frequentato presso la Columbia University e, ancora, incontri con Maurizio Cattelan e Tom Ford e un soggiorno estivo da trascorrere con lo scenografo Bob Wilson nella sua factory di Watermill a Long Island. Questo è Lapo: lavorare ma facendoti trainare da mille interessi e dalle naturali inclinazioni. Lo sapeva bene il nonno che l'ha voluto lì intuendone le capacità, ma l'hanno capito anche i signori del business mondiale che, in questi mesi, hanno sondato con una certa insistenza la possibilità di avvalersi dell'erede di casa Fiat.
Poteva essere un'altra occasione per dimostrare che lui non è il classico "nipote di" ma solo uno che lavora sodo. Per lasciarsi così alle spalle le vicende italiane ma anche per rispondere definitivamente a quel cruccio che si porta dietro da una vita: "Sono Lapo e basta: giudicatemi dal mio lavoro e dai risultati". Gli hanno offerto di tutto: manager nel mondo della moda come in quello delle tecnologie più avanzate, ma si sa, il primo amore non si scorda mai. Ama la Fiat e gli piace l'idea di restare in Italia. Tanto che a New York si è fatto disegnare il suo nono tatuaggio: un vessillo italiano su un braccio.
A Mirafiori lo dicono anche gli operai, quelli che gli mandano spesso bigliettini e saluti come se fosse uno di loro. «Non c'è 500 senza di lui», ripetono nella storica fabbrica torinese dove scelse di stabilire il suo ufficio preferendolo al blasonato Lingotto, e dove tutti erano abituati a vederlo spuntare all'improvviso dappertutto. Anche in catena di montaggio. La foto di Lapo nel bagagliaio della Punto ha fatto il giro del mondo ed ha contribuito a far impennare le vendite. I pubblicitari si aspettano uno dei suoi guizzi: sarà forse in occasione del lancio della nuova 500?
Dagospia 28 06 2006
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