LA DRAMMATICA TELEFONATA TRA PAOLO BONOLIS E STANLEY TOOKIE WILLIAMS NELLA CELLA DELLA MORTE, CARCERE DI SAN QUINTINO (LOS ANGELES, CALIFORNIA)
Il testo integrale dell'intervista andata in onda giovedi sera ne "Il senso della vita", Canale 5
1. Lei è condannato a morte: il 13 dicembre sarà eseguita la sentenza.
Qual è il suo stato d'animo, in questa vigilia?
(Voce di uno speaker)
La chiamata e il Suo numero telefonico saranno registrati e sorvegliati.
Mi sento pieno di fede; mi sento bene - nella mente, nel corpo e nell'anima
2. Dopo la sentenza della Corte Suprema, che ha rifiutato di riesaminare il caso, la sua vita è nelle mani di un solo uomo, il governatore della California Arnold Schwarzenegger, che potrebbe accordargli la grazia: cosa vorrebbe dirgli?
A questo punto, non credo che ci sia granché che io possa dirgli. Sarei ben felice, naturalmente, se potessi farlo. Se avessi l'opportunità di dire qualcosa, direi innanzitutto che sono innocente rispetto a tutte le accuse per cui sono stato condannato. Sono innocente. In secondo luogo, potrei dire che, se resterò vivo, continuerò a trasmettere il messaggio positivo che trasmetto da tempo ai giovani, sperando di poter solidarizzare reciprocamente con loro. In terzo luogo, se resterò vivo, e se mi saranno concesse, o la sospensiva della sentenza, o la grazia, sarò sicuramente in grado di provare la mia innocenza.
3. La giuria che la condannò a morte era composta di soli bianchi: ci fu, a suo danno, un pregiudizio razzista?
Come Lei, io e tanti altri sappiamo benissimo, il razzismo in questo paese è prevalente e diffuso. E' profondamente radicato in ogni aspetto della società e delle istituzioni. Non vedo perché il sistema della giustizia penale dovrebbe esserne esente. Certamente! Sì, durante il processo ci sono stati razzismo, pregiudizi, parzialità. E... no, non ho avuto un giusto processo.
4. Lei aveva fondato una gang temibile e sanguinaria, i Crips, ma si è sempre dichiarato innocente degli omicidi per i quali è stato condannato. Perché non è stato considerato attendibile?
Prima di tutto, perché sono nero. E, poi, per via delle mio retroterra. Sa, dove sono cresciuto io, nel quartiere di South Central, noi, anzi, io - voglio parlare per me adesso - sono cresciuto con la violenza e in un certo senso, sono stato abituato a essere cattivo solo nei confronti dei neri, della gente di colore. Non sono stato abituato a rubare o a essere violento contro i bianchi, gli Ispanici, gli Asiatici o qualsiasi altro gruppo etnico. Sta di fatto, che all’epoca vivevo alle spalle di spacciatori di droga, protettori, criminali, ladruncoli, membri di altre gang, gente di questo tipo, insomma. Era quello il mio modus operandi. Suppongo che, proprio per questo, alla polizia sia risultato più facile montare le accuse contro di me. Voglio dire, facevo al caso, perché io ero un violento, ero nero, e perché ero un criminale. Sembrava quindi molto plausibile a tutti che fossi stato io a compiere quei crimini, che invece non ho commesso.
5. Vuole dire qualcosa alle famiglie delle vittime? Anche se lei, proclamandosi innocente, non ha mai voluto chiedere perdono.
Prima di tutto, ancora una volta, devo dire che io sono innocente e, essendo innocente, sarebbe sbagliato, addirittura vigliacco, da parte mia, dire di essere colpevole, quando non lo sono, soltanto per salvarmi la vita. Sarebbe sbagliato e non potrei farlo. Tuttavia, posso esprimere il mio rammarico nei confronti dei familiari delle vittime che hanno provato un simile lutto. Nutro solidarietà nei loro confronti e nei confronti di altre persone che hanno perduto i propri cari. Mi rattrista il fatto che queste persone abbiano perso un famigliare, e mi rattrista il fatto che esistano centinaia di migliaia, milioni, di altre persone, che hanno perduto i propri cari. Per quanto mi riguarda, non posso ammettere la colpevolezza di qualcosa che non ho fatto. Sarebbe sbagliato da parte mia.
6. Vuole dire qualcosa ai giovani che fanno parte delle bande di delinquenti nei ghetti di Los Angeles e, in genere, in tutto il mondo?
Di sicuro non sono io a poter dire loro cosa fare. La scelta spetta a loro. Sono convinto che debbano trovare la forza e il coraggio di frequentare le scuole superiori, cercare di diplomarsi, e poi iscriversi all'università e prendersi una laurea, che potranno poi utilizzare per tornare, cambiare la società e renderla migliore, molto migliore di quanto non sia oggi. Per vivere in questo mondo, per vivere in modo legittimo, hanno bisogno di un'istruzione. Come ho detto, la scelta sta a loro, e sono convinto che, qualunque cosa vogliano fare nella vita, qualunque siano i loro obbiettivi, hanno la capacità di ottenere quello che vogliono. E attraverso la volontà, nelle circostanze e nelle situazioni più difficili, potranno rendere possibile l'impossibile
7. Ha scritto libri per ragazzi, che le hanno procurato anche varie candidature al Premio Nobel per la Pace. Qual è il messaggio fondamentale, in questi libri?
Il messaggio chiave è che i giovani non devono partecipare ad attività criminali, devono avere un'istruzione, adottare una spiritualità. E parlando di spiritualità (spirituality), voglio dividere il termine in due. C'è lo spirit, che è il noumeno, l'anima...
Pronto?
Prego, continui pure!
...e la uality, rappresentata dai fatti, dalle azioni. Pertanto, io considero la spiritualità una forma di atto, di azione, spirituale. In questo senso, credo che i giovani debbano promuovere atti di beneficenza verso gli altri esseri umani, aiutare il prossimo. Ce n'è bisogno.
8. Che cosa le ha insegnato la vita nel carcere di San Quintino? Dopo sei anni, ho letto, lei ha cominciato a redimersi: che cosa l'ha cambiata, c'è stato un momento particolare, una ragione precisa?
Questo posto in sé non ha fatto assolutamente niente per riabilitarmi. Il fatto di stare chiuso qui dentro non ha alcun nesso con il mio cambiamento. Il fatto è che mi sono dato un'istruzione e, attraverso l'istruzione, ho potuto iniziare a usare il buon senso e a ragionare. Ed è stato attraverso il buon senso e il ragionamento, che, alla fine, sono riuscito a sviluppare una coscienza. Una volta sviluppata la coscienza, ho potuto abbracciare la redenzione.
9. Ha paura, al pensiero di affrontare il 13 dicembre - il momento supremo?
Mi scusi, ma mi dicono che tra 5 minuti dovremo interrompere.
Può rispondere a un altro paio di domande?
Me le può ripetere?
Ha paura, al pensiero di affrontare il 13 dicembre - il momento supremo?
No, non ho paura. La mia fede non me lo consente. Io credo in Dio e Dio è con me. E se questo sarà il mio destino, non potrò certo sfidarlo. Non c'è nulla che io, personalmente, possa fare. Ho molto sostegno. Prego affinché le preghiere e gli sforzi compiuti per aiutarmi vadano a buon fine. Però, no... Spessissimo durante la mia vita, mi sono trovato vicinissimo alla morte. Questa esperienza qui non è diversa dalle altre. La mia fede mi mantiene forte e con i piedi per terra. No, non ho paura, perché Dio è con me.
10. C'è chi sostiene (anche altri condannati a morte, ed ergastolani, lo hanno detto) che la pena di morte sia una pena brutale, ma preferibile rispetto alla prospettiva di una intera vita in carcere. Lei cosa ne pensa?
E' una affermazione totalmente assurda che io non ho mai fatto. Sono convinto che, da vivo, alla fine, riuscirei a dimostrare la mia innocenza, mentre, da morto, non potrei mai farlo. Sono un combattente e, se resterò vivo, potrò combattere per la mia libertà. Quando dico combattere, intendo attraverso il sistema giuridico. Se muoio, finisce lì... Insomma, preferisco essere vivo, per poter combattere e dimostrare la mia innocenza.
Ora devo andare, La saluto.
La mescolanza
Edited by °Flavia° - 2/12/2005, 17:52